Dopo tanti mesi ho ripreso a prendere la metro e, di conseguenza, anche a leggere. Ho deciso di iniziare La vita bugiarda degli adulti di Elena Ferrante (l'amatissima autrice della quadrilogia de L'amica geniale) in occasione dell'uscita a gennaio dell'omonima serie Netflix. In questo romanzo la protagonista è la quindicenne Giovanna, che all'improvviso vede la sua vita cambiare quasi completamente. I genitori, che le sembravano una coppia affiatata, si separano e il padre le inizia ad apparire un uomo sempre più insignificante. Poi entra in scena la figura di zia Vittoria, con la quale non aveva mai avuto rapporti prima di allora, descritta dal padre come una persona estremamente cattiva. Giannina, così la chiamano tutti affettuosamente, si rende conto che in realtà la donna, pur col suo carattere difficile, non è poi così male e non è nemmeno tanto diversa da lei. Ritroviamo anche in questo libro una narrazione incalzante e molto schietta, esplicita, ma anche riflessiva. E ritroviamo anche lo sfondo di Napoli, con le sue tante sfaccettature.
Il libro:
«Due anni prima di andarsene di casa mio padre disse a mia madre che ero molto brutta. La frase fu pronunciata sottovoce, nell’appartamento che, appena sposati, i miei genitori avevano acquistato al Rione Alto, in cima a San Giacomo dei Capri. Tutto - gli spazi di Napoli, la luce blu di un febbraio gelido, quelle parole - è rimasto fermo. Io invece sono scivolata via e continuo a scivolare anche adesso, dentro queste righe che vogliono darmi una storia mentre in effetti non sono niente, niente di mio, niente che sia davvero cominciato o sia davvero arrivato a compimento: solo un garbuglio che nessuno, nemmeno chi in questo momento sta scrivendo, sa se contiene il filo giusto di un racconto o è soltanto un dolore arruffato, senza redenzione».
Il bel viso della bambina Giovanna si è trasformato, sta diventando quello di una brutta malvagia adolescente. Ma le cose stanno proprio così? E in quale specchio bisogna guardare per ritrovarsi e salvarsi? La ricerca di un nuovo volto, dopo quello felice dell’infanzia, oscilla tra due Napoli consanguinee che però si temono e si detestano: la Napoli di sopra, che s’è attribuita una maschera fine, e quella di sotto, che si finge smodata, triviale. Giovanna oscilla tra alto e basso, ora precipitando ora inerpicandosi, disorientata dal fatto che, su o giù, la città pare senza risposta e senza scampo.
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